I PROGRAMMI DI APPROFONDIMENTO INFORMATIVO

Con il programma di approfondimento informativo si analizza una notizia che ha già formato oggetto di cronaca, quindi acquisita dal telespettatore, allo scopo di garantirgli un’adeguata informazione su un fatto di indubbio interesse pubblico. Un contenitore molto gradito al grande pubblico è il talk show, dove il conduttore, generalmente in piedi, è idealmente circondato dai partecipanti. Introdotto il tema della trasmissione, il conduttore dà via al dibattito, ponendo domande alle quali i partecipanti rispondono esponendo le loro tesi. Ne sono esempi noti “Porta a Porta”, “Matrix”, “Ballarò”, “Annozero”.

Nel programma di approfondimento informativo l’obiettivo primario del giornalista conduttore è dissipare ogni dubbio facendo emergere la verità. Di conseguenza, presenterà il fatto così come accertato attraverso inchieste, testimonianze, provvedimenti giudiziari, documenti, fonti ufficiali, etc. Ricorrerà all’ausilio di soggetti dotati di una particolare competenza sul tema da trattare. Insomma, dovrà favorire la relazione del telespettatore al fatto.

Qui il giornalista conduttore produce informazione. Ha un ruolo attivo nel programma e ne è il protagonista, parte essenziale del contraddittorio. Può, anzi, deve interrompere, contraddire l’ospite che fa affermazioni non rispondenti al vero, avendo unicamente la funzione di relazionare il telespettatore alla realtà. Quando il suo atteggiamento è a ciò finalizzato, il giornalista conduttore non può mai essere tacciato di “faziosità”, perché garantisce l’obiettività dell’informazione.

Ma negli ultimi anni è andata manifestandosi la tendenza a far prevalere sull’accertamento della verità il punto di vista, la valutazione, la posizione soggettiva di chi partecipa al programma. Tendenza marcata nei programmi informativi a contenuto politico. Qui l’aspetto dell’inchiesta giornalistica è marginale, a volte assente. I protagonisti del programma sono i soggetti politici, rappresentati nel rispetto del principio del pluralismo, ma che nella maggior parte dei casi sono, per ovvi motivi, portatori di un interesse incompatibile con l’interesse della collettività ad acquisire il fatto nella sua completezza ed obiettività.

Da più parti si attribuisce il fenomeno ad una precisa scelta delle testate e degli stessi giornalisti conduttori, che volutamente rinunciano ad approfondire il fatto per dare spazio alle voci dei politici. E’ anche vero, però, che una simile conduzione è sostanzialmente imposta dalle norme che negli ultimi periodi si sono incaricate di disciplinare il sistema radiotelevisivo, in gran parte emanate dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza, organo di natura indiscutibilmente politica, visto come sono nominati i suoi 40 membri (pariteticamente dai presidenti di Camera e Senato, ma scelti tra tutti i gruppi parlamentari).

A spianare la strada era stato l’art. 2, comma 3°, L. n. 28/2000, che garantisce “parità di condizioni nell’esposizione di opinioni e posizioni politiche” non solo nei programmi di comunicazione politica tradizionalmente intesi (ossia le “tribune politiche”), ma anche “in ogni altra trasmissione nella quale assuma carattere rilevante l’esposizione di opinioni e valutazioni politiche”. Anche nelle trasmissioni di approfondimento informativo che affrontano questioni politiche, quindi. Ma solo se caratterizzate da una conduzione che dà maggior spazio alle valutazioni dei politici. Ossia, tale maggior spazio viene dalla norma stessa considerato in termini di mera eventualità.

Invece, a partire dal 2002 è la Commissione Parlamentare di Vigilanza ad imporre una prevalenza delle posizioni politiche. Secondo il Provvedimento 18 dicembre 2002 “ogni direttore responsabile di testata è tenuto ad assicurare che i programmi di informazione a contenuto politico parlamentare attuino un’equa rappresentazione di tutte le opinioni politiche assicurando la parità di condizioni nell’esposizione di opinioni politiche presenti nel Parlamento nazionale e nel Parlamento europeo”. In questo modo, se ad esempio la trasmissione verte sulle indagini avviate dalla magistratura a carico di un personaggio politico, il conduttore si troverà a dover invitare anche politici della medesima area, pur avendo questi evidentemente un interesse contrario a che emerga la verità.

La tendenza viene poi consacrata addirittura a livello di legge ordinaria. Dapprima con l’art. 6, comma 1° lett. c), L. n. 112/2004 (“legge Gasparri”), poi con l’art. 7, comma 2° lett. c), D.Lgs. n. 177/2005 (“Testo Unico sulla radiotelevisione”). Entrambe le disposizioni recitano testualmente: “La disciplina dell’informazione radiotelevisiva, comunque, garantisce […] l’accesso di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e di imparzialità”.

E’ agevole capire che quanto maggiore è la presenza dei politici, tanto minore è l’offerta informativa. E’ questa la conseguenza della applicazione della par condicio all’informazione. In nome del pluralismo si oscura il fatto, aprendo la strada alle valutazioni, necessariamente di parte, di soggetti che hanno un interesse confliggente con quello del telespettatore, interessato unicamente alla verità.

In quest’ottica l’approfondimento informativo si avvicina maledettamente alla comunicazione politica, dove esistono tante “verità” quanti sono i soggetti politici partecipanti. La figura del giornalista conduttore ne esce fortemente compressa, e con essa il diritto di cronaca. Dovendo dare spazio alle voci dei politici in nome del pluralismo, il conduttore finisce per avere seri problemi nel dare vita al contraddittorio, che finisce per instaurarsi soltanto tra i politici. E il conduttore viene relegato nel ruolo, passivo, di semplice moderatore, di mero garante della esposizione di opinioni altrui: proprio il ruolo del conduttore di un programma di comunicazione politica. Il telespettatore, invece, viene irrimediabilmente allontanato dalla verità, avendo percepito meri punti di vista discordanti.

In una simile atmosfera i tradizionali concetti di “imparzialità” e di “obiettività” vengono completamente travisati. Nella pratica, il giornalista conduttore di un programma di approfondimento informativo che, dati ufficiali alla mano, interrompe e contraddice un politico nel tentativo di relazionare il telespettatore al fatto, viene tacciato di faziosità. Un’accusa che potrebbe essergli legittimamente rivolta solo se ciò accadesse nel corso di un programma di comunicazione politica, dove il contraddittorio è ammesso soltanto tra i soggetti politici partecipanti e il conduttore svolge un ruolo simile a quello del notaio.

In proposito si ricorderanno gli epici scontri verbali tra Silvio Berlusconi e Michele Santoro, quando su Rai2 conduceva “Il raggio verde”, accusato nel 2001 di voler demolire con la propria “faziosità” l’immagine del futuro premier insistendo con domande sui rapporti tra Berlusconi, Dell’Utri e la mafia così come ricostruiti negli atti della magistratura. La questione finì davanti all’Authority, dove i legali di Berlusconi spinsero affinché la trasmissione venisse considerata programma di comunicazione politica, quindi assoggettata alle rigide regole della par condicio. Ma, soprattutto, con l’intento di rilevare nella conduzione di Santoro la violazione degli obblighi di imparzialità e di obiettività. L’Authority, con Decisione 12 aprile 2001, respinse la richiesta principale dei legali di Berlusconi (ossia la qualifica di programma di comunicazione politica), ma rilevò ugualmente “la violazione dei principi di parità di trattamento, di obiettività, di completezza e di imparzialità” a danno di Berlusconi, ordinando alla Rai la messa in onda di una puntata de “Il raggio verde” con prevalente partecipazione di politici di Forza Italia. In sintesi, l’Authority qualificò “Il raggio verde” trasmissione di approfondimento informativo, ma giudicò Santoro adottando il modello del conduttore di un programma di comunicazione politica.

Il presidente dell’Authority Corrado Calabrò (che allora non presiedeva l’organo, essendo stato nominato nel 2005) in un’intervista rilasciata nel gennaio 2006 ha dichiarato di considerare programmi di comunicazione politica le trasmissioni “Porta a porta”, “Matrix” e “Otto e mezzo”. Affermazioni non condivisibili, che mirano a colpire la libertà di informazione; e che dovrebbero preoccupare, vista l’indubbia autorevolezza della fonte. Calabrò considera quelle trasmissioni alla stregua di programmi di comunicazione politica solo perché vengono condotte come tali. Ma in periodo non elettorale è l’approfondimento informativo a dover prevalere sulla comunicazione politica, e non viceversa. Un rapporto che non può certo essere rovesciato dal semplice comportamento del conduttore, anche se reiterato nel tempo.

L’applicazione della par condicio ai programmi di approfondimento informativo può degenerare fino a produrre risultati grotteschi, oltre che estremamente dannosi per l’informazione. Un esempio è dato dalla trasmissione di Rai3 Report di Milena Gabanelli, quando nella puntata del 15 gennaio 2005 (“La mafia che non spara”) fornì un crudo ritratto della Sicilia del governatore Cuffaro, da pochi mesi rinviato a giudizio con l’accusa di aver favorito alcuni mafiosi rivelando notizie carpite dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Le polemiche che seguirono indussero i vertici Rai a mandare in onda su altra rete Rai una cosiddetta “puntata riparatoria”.

Se si considera che i fatti narrati da Report erano in gran parte tratti da fonti ufficiali (atti giudiziari da cui emergeva la posizione di Cuffaro e la penetrazione delle cosche nel tessuto economico e civile della regione) viene da pensare che il “torto” di Report sia stato quello di porre in relazione i telespettatori con i fatti accertati dalle indagini della magistratura, ma senza dare la possibilità a Cuffaro di fornire la propria versione sulle personali vicende giudiziarie e sulla presenza della mafia in Sicilia. Ci vuole ben poco per capire che tale versione sarebbe stata di parte; e come tale non solo inutile da trasmettere perché poco credibile, ma avrebbe finito per fornire al telespettatore una rappresentazione distorta della realtà. In ogni caso, si sarebbe arrivati ad un risultato illogico, addirittura grottesco, nel pretendere una sorta di par condicio tra due fonti assolutamente incomparabili quanto ad attendibilità: da un lato gli atti della magistratura palermitana (fonte ufficiale), dall’altro le dichiarazioni del governatore della Sicilia imputato dalla stessa magistratura per collusione con la mafia.

Un limite cui il giornalista conduttore deve attenersi nei programmi di approfondimento informativo è la continenza formale. Che, per ovvi motivi, qui va valutata in maniera piuttosto elastica, riguardando l’approfondimento informativo una notizia già diffusa. Non si tratta certo della tradizionale continenza formale che caratterizza il diritto di cronaca e che, se applicata alla fattispecie, imporrebbe al conduttore una asetticità che mal si concilia con il suo essere parte essenziale di un contraddittorio. Un conduttore che con domande basate su fonti ufficiali mette ripetutamente alle strette il politico glissante, non vìola il requisito della continenza formale, perché il comportamento, essendo diretto ad ottenere risposte di interesse pubblico, è funzionale alla completezza e all’obiettività dell’informazione. Non se le domande vogliono estorcere particolari intimi della persona, o se sono accompagnate da escandescenze ed insulti gratuiti, venendo meno in questo caso qualsiasi interesse pubblico.

Per fare un esempio, non violò il requisito della continenza formale Lucia Annunziata quando ospitò Silvio Berlusconi il 12 marzo 2006 nella propria trasmissione di approfondimento informativo “in ½ ora”. Polemicamente Berlusconi interruppe l’intervista, abbandonando gli studi e accusando l’Annunziata di faziosità, a causa delle sue domande sul conflitto di interessi e sulle questioni giudiziarie che lo riguardavano. In realtà, era stato Berlusconi a pretendere che l’Annunziata, rinunciando all’approfondimento informativo, conducesse la trasmissione come un programma di comunicazione politica, lasciandolo libero di esporre il proprio programma politico.

In conclusione, le norme che operano una commistione tra informazione e comunicazione politica vanno interpretate in modo da salvaguardare il più possibile il fine primario del programma di approfondimento informativo: porre il telespettatore in relazione diretta con il fatto, limitando l’intermediazione di soggetti portatori di un interesse contrario all’accertamento della verità. Di conseguenza, il giornalista conduttore dovrà dare adeguato spazio alle valutazioni di quei soggetti, ferma restando però l’assoluta prevalenza dell’aspetto informativo, basato su fonti ufficiali o di elevata attendibilità. E, soprattutto, dovrà svolgere un ruolo attivo nella conduzione del programma, esserne il protagonista, instaurando un contraddittorio anche acceso con i partecipanti nel perseguimento di obiettività e completezza dell’informazione, senza che una tale conduzione debba finire nel mirino dell’Authority per violazione dei requisiti di obiettività e imparzialità. Idealmente, il conduttore dovrebbe avere lo stesso tempo a disposizione dell’ospite, poiché in un contraddittorio le parti vanno poste sullo stesso piano; e qui il contraddittorio è tra il giornalista conduttore e l’ospite.

Qualunque diversa interpretazione di tali norme sarebbe illegittima, come illegittime sarebbero le eventuali sanzioni comminate dall’Authority sul presupposto della loro violazione. Dopo di che, sarà il giornalista conduttore a scegliere se privilegiare il rapporto tra telespettatore e fatto, o se condurre la trasmissione sui binari della comunicazione politica.

Quanto finora detto vale anche per le emittenti private, assoggettate non al potere normativo della Commissione Parlamentare di Vigilanza, ma a quello dell’Authority. Questa, infatti, ha emanato norme di contenuto analogo, con il proposito di assimilare le trasmissioni di approfondimento informativo ai programmi di comunicazione politica.

Ma per le emittenti private va rilevato un aspetto. In tutte le Delibere finora emanate dall’Authority, con riferimento ai programmi di informazione, viene reiterata la medesima formula normativa. Dopo aver stabilito i limiti in cui incorrono i programmi di informazione, viene sempre specificato che “Resta salva per l’emittente la libertà di commento e di critica che, in chiara distinzione tra informazione e opinione, salvaguardi comunque il rispetto delle persone”. Formula ripetuta nel Codice di Autoregolamentazione per le emittenti radiofoniche e televisive locali, emanato con Decreto del Ministro delle Comunicazioni 8 aprile 2004.

A prima vista, una simile reiterata previsione normativa per le emittenti private desta molte perplessità. Ciò in quanto tutte le Delibere dell’Authority, non diversamente dai provvedimenti della Commissione Parlamentare di Vigilanza, pongono insistentemente l’accento su obiettività, completezza e imparzialità dell’informazione. Non si capisce, quindi, come sia possibile che ogni delibera emanata dall’)C)Authority in materia di informazione rechi in sé una contraddizione di così macroscopica evidenza, se si pensa alle potenzialità insite nella libertà di critica.

La questione assume rilevanza soprattutto perché in alcuni ambienti si rivendica per le emittenti private la natura di “imprese di opinione”, che consentirebbe ad esse di manifestare ex art. 21 Cost. una “identità politica”, inconcepibile per la Rai in quanto servizio pubblico. E le tre emittenti nazionali di proprietà Mediaset subiscono inevitabilmente l’influenza di Silvio Berlusconi, suo principale azionista ma anche leader di uno dei maggiori partiti presenti in Parlamento.

Ma la libertà dell’emittente privata di manifestare ex art. 21 Cost. la propria identità politica nei programmi di approfondimento informativo dovrebbe necessariamente tradursi in un comportamento del conduttore di piena adesione alla linea politica dell’emittente. Un comportamento che si sostanzierebbe nella rinuncia al contraddittorio verso chi nella trasmissione rappresenta la forza politica di cui l’emittente è espressione. E ciò porterebbe ad una conseguenza paradossale: con riferimento agli altri soggetti politici partecipanti la trasmissione conserverebbe la natura di approfondimento informativo, ma nei riguardi del soggetto politico di riferimento assumerebbe la caratteristica di programma di comunicazione politica.

Dunque, se esiste una libertà di critica in capo al conduttore, questa non può essere ricondotta alla libertà di manifestazione dell’identità politica dell’emittente, ma solo alla eventuale libertà di critica che va garantita ex art. 21 Cost. al conduttore stesso come persona fisica.

Ed una tale libertà di critica non può essere negata al giornalista conduttore, a patto che sia incondizionata. Ossia, garantita nei confronti di qualsiasi soggetto politico partecipante al programma. Cosa impossibile da ottenere se la libertà di critica del conduttore conseguisse alla libertà dell’emittente di manifestare la propria identità politica, poiché in questo caso la libertà di critica del conduttore non potrebbe logicamente esistere nei riguardi del soggetto politico di cui l’emittente è espressione.

Inoltre, la libertà di critica del conduttore dell’emittente privata esiste, ma nella stessa misura in cui l’art. 21 Cost. la garantisce al giornalista conduttore Rai. Non deve trarre in inganno la circostanza che la Rai fa servizio pubblico (cosa che impedisce soltanto alla Rai di assumere una “identità politica”). Il programma di approfondimento informativo si basa non solo sul contraddittorio tra i partecipanti, ma anche (e soprattutto) sul contraddittorio tra i partecipanti e il conduttore stesso, contrariamente a quanto accade nei programmi di comunicazione politica, dove il contraddittorio si instaura soltanto tra i soggetti politici partecipanti. La libertà di critica esiste laddove è previsto un contraddittorio. E non vi è alcun motivo logico giuridico per differenziare il contraddittorio che si instaura nei programmi di approfondimento informativo della Rai da quello che caratterizza le trasmissioni delle emittenti private.